Diario

L’endometriosi, il lavoro e farlo capire alle altre donne…

ARTICOLO 8 AGOSTO 2015 DEL PRECEDENTE BLOG RIPORTATO PREVIA CANCELLAZIONE

Partiamo dal fatto che l’endometriosi provoca scompensi a livello di vita sociale nei rapporti con gli altri, a livello dei rapporti di coppia, nonché a livello lavorativo.

Mi sono resa conto che è una battaglia difficile, un compito quasi impossibile far comprendere, soprattutto alle altre donne (peggio se sono amiche!), cosa comporta a livello di scelte di vita, soprattutto lavorativa, la convivenza con questa malattia.
Mi sono francamente stancata di ripetere sempre le stesse cose a un pubblico che costantemente fa orecchie da mercante o finge indifferenza, incomprensione… Perciò lo scrivo qui, una volta e per sempre.

L’endometriosi comporta dolori quasi cronici, oltre i giorni del ciclo (se non ti viene sospeso), anche nei giorni “normali”. E non puoi prevedere quanto ti verranno e con quale intensità.
Andarsi a cercare attività che possono “provocare” o comunque agevolare la loro comparsa (perché magari pesanti a livello fisico) è qualcosa di alquanto stupido da fare. Cercare di aggravare la propria salute lo lascio fare a chi non ha voglia di vivere o è stolto. Io ho dei progetti per me e vorrei portarli a termine o, quanto meno, tentare di portarli a termine.

I dolori che si provano causati dalla malattia sono soggettivi, non esiste uno “standard”, dipendono anche dallo stadio di avanzamento della stessa. Col tempo ti ci “abitui”, ci fai il callo, e comprendi cosa puoi o non puoi fare.
Io sono giunta alla conclusione che lavori che si svolgono in piedi o che comportano sforzi fisici (commessa, barista, promoter, operaia, parrucchiera, pulizie…) non posso farli. Capito? NON POSSO! Non ho detto non voglio, ho detto non posso, perché mi fanno peggiorare i dolori o mi provocano stati di sofferenza fisica.
Non è questione di essere schizzinosi, è questione di salute.
Se chi parla tanto avesse un minimo di criterio o senno in corpo, probabilmente certe cose non le penserebbe neppure. Anzi, vorrei tanto vedere queste persone “benpensanti”, quelle per cui va bene tutto perché bisogna adattarsi, agire come dicono una volta che si trovassero nei miei panni. Perché, come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!

E poi, se vogliamo dire anche tutto il resto, dopo che una persona si fa un mazzo tanto per prendersi una laurea, anche pesantina, all’università e sudata con le sole proprie forze per diversi ostacoli che ha dovuto affrontare, vorrebbe anche un po’ di soddisfazione. O no? E’ forse sbagliato desiderare un po’ di appagamento?
Certe attività si svolgono negli anni di studio, per avere quella piccola indipendenza economica che ti permetta qualche sfizio. Ma poi bisogna rivolgere le proprie attenzioni a quello per cui si è realmente preparati, a quello per cui si è portati, a quello che si desidera fare nella vita e per cui si è studiato tanto.
Basta adattarsi!
Discorso che può fare impallidire i più, quelli che sono abituati a seguire la corrente, a chinare la testa, senza porsi domande né questioni morali o di carattere.
Ma, diciamolo senza troppi giri di parole, chi non ha studiato, chi non ha fatto l’università e alle superiori ha fatto scuole professionali, non può capire tutto ciò. Non può capire cose come l’ambizione, il carisma, il desiderio di fare qualcosa di diverso, la voglia di cambiare se stessi e il mondo. Anzi, meglio non parlare di queste cose con certa gente: vi prenderebbero per assurdi, alieni, casi patologici che non comprendono la realtà delle cose, gente pericolosa.
Io, sono abituata ad alzare la testa e guardare al cielo, a cui affido i miei desideri più reconditi.
Sono idealista.
Sono sognatrice.
Sono incompresa.
Sono da sola.

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